lunedì 14 gennaio 2008

Prato e la Sacra Cintola

La Sacra Cintola, chiamata anche Sacro Cingolo, è considerata la cintura della Madonna ed è la reliquia più preziosa di Prato, fulcro della religiosità cittadina. È custodita nell'omonima cappella del Duomo della città.

Il vescovo di Prato (Gastone Simoni) ostende la Sacra Cintola dal pulpito del Duomo
Il vescovo di Prato (Gastone Simoni) ostende la Sacra Cintola dal pulpito del Duomo
La Cappella del Sacro Cingolo nel Duomo
La Cappella del Sacro Cingolo nel Duomo

Attraverso il suo culto, ha contribuito alla crescita economica e demografica della città. Si tratta di una cintura di lana di color verde, ricamata con alcuni fili d'oro, che la tradizione vuole che appartenesse alla Vergine Maria, che la diede a San Tommaso come prova della sua Assunzione in cielo.

La reliquia sarebbe stata portata a Prato dal mercante pratese Michele Dagomari nel 1141, di ritorno da un viaggio a Gerusalemme, che la ricevette in dote da una giovane che aveva sposato in quella città. Il Dagomari custodì gelosamente la cintura in casa sua fino alla fine della sua vita. Prima di morire, la donò al preposto della Pieve di S. Stefano (l'attuale Duomo, dove viene conservata ancora oggi). Inizialmente conservata nell'altare maggiore, a seguito di un tentativo di furto da parte di un pistoiese, venne espropriata dal comune e dalla cittadinanza al controllo ecclesiastico diretto (attualmente solo una delle tre chiavi che la custodiscono è del vescovo) e posta all'ingresso della chiesa.

Successivamente venne costruita una cappella apposita sul fianco sinistro della chiesa, all'altezza della facciata. Più in generale, l'intera Cattedrale subì per questo parecchi rifacimenti fino al XV secolo.

La reliquia è ancora oggi conservata in questa cappella, affrescata interamente da Agnolo Gaddi con le Storia di Maria Vergine e della Cintola stessa. Sopra l'altare settecentesco dove viene conservata la reliquia è collocata la piccola ed elegante statua della Madonna col Bambino, opera di Giovanni Pisano (1301).

Oggigiorno, essa viene mostrata pubblicamente (Ostensione) cinque volte all'anno, cioè per Natale, Pasqua, il primo maggio (Festa dei lavoratori), il 15 agosto (Assunzione di Maria), e in particolar modo l'8 settembre (Natività di Maria). L'Ostensione viene fatta alla folla radunata nella piazza del Duomo dal pulpito esterno, costruito su progetto di Michelozzo e decorato da Donatello.

Il furto della reliquia

Il segno della mano di Musciattino
Il segno della mano di Musciattino

La leggenda narra che il canonico pistoiese Musciattino abbia tentato di impadronirsi della reliquia della Cintola, per portarla nella propria città. Quando però uscì da Prato, si perse nella nebbia che avvolgeva la campagna circostante e, senza rendersene conto, tornò al punto di partenza. Credendo di essere giunto a Pistoia, gridò alle porte della città: "Aprite, aprite Pistoiesi: ho la Cintola de' Pratesi!".

Il ladro venne così catturato, condannato al taglio della mano destra, e successivamente al rogo. Si narra inoltre che, dopo che in piazza del Duomo gli fu mozzata la mano, la folla inferocita abbia scagliato l'arto tagliato verso la chiesa, cosicché esso abbia lasciato su una pietra una macchia di sangue a forma di mano. Tale segno è visibile ancora oggi (con tutta probabilità si tratta di una venatura rossa del marmo) sulla pietra dell'angolo in alto a sinistra della seconda porta (quella più vicina al campanile) del fianco destro della Cattedrale.


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CENNI STORICI SULLA RELIQUIA DEL SANGUE PREZIOSISSIMO DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO


CENNI STORICI SULLA RELIQUIA DEL SANGUE PREZIOSISSIMO DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

È tradizione degna di fede che la reliquia del Sangue versato da Cristo a redenzione del mondo sia giunta alla città di Luni assieme al Volto Santo di Lucca nell'anno 782. Il Venerdì santo di quell'anno il Vescovo di Luni, Apollinare, e il Vescovo di Lucca, Giovanni, raccolsero sulla spiaggia di Luni un legno che aveva portato in salvo le due reliquie. Secondo tradizione Nicodemo di Arimatea, sul Calvario, aveva riempito un'ampolla col sangue di Cristo ed aveva poi scolpito una croce con l'immagine del Salvatore, per contenere l'ampolla. Approdate fortunosamente sulla spiaggia di Luni la Croce, definita Sacro Volto, fu portata a Lucca dove è conservata, mentre la Reliquia rimase a Luni. Da Luni fu poi trasferita a Sarzana nel 1204, anno della traslazione della sede episcopale.

Antichi documenti attestano il vivo culto che la preziosa Reliquia ha avuto nei secoli nelle terre di Luni. Fra i più importanti si possono citare i seguenti:

  • Atto di infeudazione del Castello di Volpiglione fatta da Raimondo, vescovo di Luni nel 1168. Fece obbligo agli uomini di detto Castello di intervenire, ogni anno, alla festa del Sangue portando ceri e conducendo persone capaci di accompagnare con strumenti musicali le salmodie del coro.
  • Decreto 25 Ottobre 1228 (carta 200 del Codice Pelavicino) col quale Guglielmo, vescovo di Luni, fissò grave multa ai canonici che, senza legittimo impedimento, fossero assenti alla festa del Sangue.
  • Decreto dell'anno 1237 (carta 400 Cod. Pel.) con il quale l'ora detto Vescovo fece obbligo di intervenire alla festa del Sangue all'Abate del monastero del Corvo, nonché all'Abate e ai monaci del monastero di Ceparana.
  • Rogito 24 Luglio 1259, con cui il nominato Vescovo Guglielmo fece obbligo all'arciprete di S. Prospero di Colognola (poi Vezzano Alto) di fornire all'Abate di Ceparana e a due persone del seguito, la cavalcatura, dal giorno della vigilia, per intervenire alla festa del Sangue.
  • Rescritto dell'anno 1320 con cui Papa Giovanni XXII, fissò la solennità del Sangue per il lunedì seguente la festa della SS. Trinità (come, da allora, anche oggi viene celebrata).
  • Bolla 1o maggio 1447 con la quale il Papa sarzanese Nicolò V, nel desiderio di assecondare il fervore dei fedeli che "con somma devozione venerano la Reliquia del Sangue del Signore nostro Gesù Cristo, nella chiesa di Santa Maria a Sarzana, diocesi di Luni" concesse indulgenze ai pellegrini che nella festa del Sangue, a partire dai primi vespri della SS. Trinità, visitassero la detta Chiesa.
  • Rescritto 13 Settembre 1747 con cui il Papa Benedetto XIV concesse a Sarzana, per la festa del Sangue, l'ufficiatura propria dopo averne rivisto personalmente e definitivamente formato il testo, che era stato preparato da P. Andrea Budrioli della Compagnia di Gesù. Il detto ufficio venne recitato per la prima volta nella Diocesi di Luni-Sarzana nel 1749. Fu esteso poi a tutta la Liguria nel medesimo anno e, successivamente nel 1752, alla Repubblica di Lucca; nel 1754, alla Repubblica di Venezia e, finalmente, a tutto il mondo cattolico dal Papa Pio IX, esule a Gaeta.

Nel 1596 Salvago, Vescovo di Luni-Sarzana, dispose che la preziosa Reliquia venisse collocata in un nuovo ostensorio. E venne fatto l'artistico lavoro che si ammira ancora nel presente. Per volontà del medesimo Vescovo, si iniziò anche la costruzione del tempietto in cui la Reliquia si trova conservata. Alle spese occorrenti concorsero, in nobile gara, l'Opera della Cattedrale, il Vescovo, il Capitolo e i fedeli della diocesi.
Innanzi alla preziosa Reliquia si sono prostrati Santi, Pontefici e Sovrani. Basti ricordare: S.Francesco d'Assisi, S. Domenico di Gusman, S. Caterina da Siena e, fra i Pontefici, Paolo III e Nicolò V; fra i Sovrani l'imperatore Federico III, Carlo V, Carlo VIII, Maria Adelaide sposa di Vittorio Emanuele II e, fra le anime grandi, si pensa di poter annoverare Dante Alighieri.
Dai secoli passati il fervore religioso è pervenuto ai giorni nostri e si mantiene vivamente acceso nel cuore dei fedeli non della sola diocesi di Sarzana ma di tutta la Lunigiana. Ne è la prova la moltitudine di pellegrini che, in occasione della festa del Preziosissimo Sangue affluisce alla Cattedrale Basilica di Sarzana, nella quale la insigne Reliquia potentemente attrae le anime a contemplare il Mistero del Sangue versato da Cristo sulla Croce.
Questo slancio di fede ha trovato anche negli anni più recenti adesione e conforto da parte delle Autorità Ecclesiastiche: nel 1933 il Vescovo Giovanni Costantini volle solennissime le feste per il XIX centenario della Redenzione. Nel sinodo tenuto nel settembre del 1936 ne fece oggetto di legislazione diocesana perché, aggiornando norme già stabilite nel sinodo che nel 1887 era stato tenuto dal Vescovo Giacinto Rossi, fissò particolari regole (articoli 494-499) affinché il culto della Sacra Reliquia si svolgesse con la massima riverenza e solennità.
Eguale riconoscimento e adesione al fervore delle popolazioni della Lunigiana ha dato il Vescovo, Mons. Giuseppe Stella, che ha voluto nel 1951, come Missione Giubilare, la "Peregrinazio Sanguinis " in tutti i centri delle tre diocesi da lui governate.
L'anno 1982 ha segnato il XII Centenario dell'arrivo a Luni della Reliquia del Preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. Numerose sono state le celebrazioni che hanno visto la Reliquia al centro della pietà dei fedeli che sono arrivati da ogni parte della Diocesi e dalle Diocesi vicine. Il Vescovo Mons. Siro Silvestri ha voluto poi ricordare il fatto storico con una lettera pastorale, nella quale richiama i fondamenti teologici della devozione e del culto nel Sangue Prez.mo di Cristo; il frutto del perdono e della pace; la devozione attraverso i secoli; come si esprime la devozione e la devozione al Prez.mo Sangue nella Cattedrale di Sarzana.
Anche negli ultimi anni, come in passato, Vescovi e Cardinali, venendo da altre Diocesi e da Roma, hanno accettato con entusiasmo di partecipare alla festa annuale, accrescendone, con la loro presenza, la solennità e il clima spirituale.
Ricordiamo, infine, che intorno all'anno 1700 fu costituita nella Cattedrale di Sarzana la Confraternita del Preziosissimo Sangue; i confratelli si impegnavano per l'amore costante alla passione di Cristo nella partecipazione al sacrificio della Messa e si impegnavano nell'amore al prossimo con opere di misericordia. Nel 1815, grazie al collegamento della Confraternita con l'Arciconfraternita del Preziosissimo Sangue di Roma, ha origine la Coroncina al Preziosissimo Sangue che è una meditazione divisa in sette punti sugli episodi in cui Gesù versa il suo Sangue.
Nel 1877 il Vescovo Mons. Giacinto Rossi istituisce la Congregazione del Preziosissimo Sangue che è tutt'ora fiorente. Essa ha l'impegno di diffondere la devozione al Preziosissimo Sangue, di promuovere con zelo il culto e di stimolare negli aderenti la virtù della carità che promana dalla vera devozione al Sangue di Gesù.
Notizie e valutazioni complete sulla devozione al Prez.mo Sangue possono essere lette nel pregevolissimo volume pubblicato con il titolo: La devozione al Prez.mo Sangue di N.S. Gesù Cristo nella Diocesi di Luni-Sarzana. Ne è autore il Parroco della Cattedrale di Sarzana Mons. Piero Barbieri.

Fonte - Cattedrale di Sarzana

Reliquie, quale valore?


di Lorella Pellis

La reliquia, nella tradizione ecclesiale cattolica – spiega lo storico Franco Cardini –, è un resto corporeo di santi o di sante, di beati o beate, oppure di qualche oggetto santificato dal contatto con loro. Casi molto particolari sono le reliquie della Beata Vergine Maria e, soprattutto, del Cristo: specialissime poi sono le reliquie del legno della Croce e quelle del Sangue del Signore». «Sul piano storico, la reliquia cristica – spiega ancora il medievista fiorentino – è prova e pegno (in latino, appunto, pignus) della comune salvezza, connessa con la realtà dell’Incarnazione; a somiglianza di essa, le reliquie dei martiri sono pegno della comunione dei santi, che garantisce l’unità della Chiesa come Corpo Mistico sulla quale si fonda la certezza che i santi continuano a proteggere, come mediatori, i credenti».

Nei giorni scorsi, le reliquie sono tornate alla ribalta, almeno in Toscana, per due fatti molto diversi tra loro: da una parte l’ostensione straordinaria del Sacro Cingolo a Prato con il cardinale di Torino, Severino Poletto; dall’altra gli esiti di una ricerca con il carbonio 14 sul saio francescano conservato in San Francesco a Cortona e su quello conservato in Santa Croce a Firenze. Dalle analisi sulle reliquie, condotte dal Laboratorio di tecniche nucleari per i beni culturali dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, il saio di Cortona sarebbe coevo alla vita del Santo, mentre quello custodito in Santa Croce, al contrario, sarebbe successivo alla morte avvenuta nel 1226.

In questo secondo caso affiora un mistero, che può persino diventare affascinante. E niente toglie che quel saio sia appartenuto a un discepolo di Francesco, magari a San Bonaventura. Certo è anche che le reliquie sono state nel tempo «oggetto di scambi, commerci, furti e falsificazioni – come afferma Anna Benvenuti – docente di Storia medievale all’Università di Firenze. A fare delle reliquie una “merce” pregiata contribuiva l’opinione di una loro virtù e taumaturgica valida non solo per i singoli fedeli ma anche per le terre che le ospitavano». L’apporto di reliquie in Occidente divenne più significativo quando tra XII e XIII secolo, grazie anche alle crociate, dice ancora la studiosa, «si intensificarono i rapporti con l’oriente cristiano. La stessa istanza di legittimazione spingeva le città portuali italiane a procacciarsi reliquie. Legittimate da racconti fiabeschi alcune di esse inserirono anche la Toscana medievale nel palinsesto della traslazione simbolica che trasferiva in Occidente la sacralità memoriale della Terra Santa, contribuendo a rafforzare il gioco degli antagonismi e delle rivalità comunali. Esemplare è la contesa che avrebbe coinvolto Luni, Lucca ed infine anche Pisa nel “processo di aggregazione mitica” evocato dalla presenza di quelle reliquie del santo sangue di Beirut che circolarono nel mediterraneo occidentale entro le grandi stauroteche antenate del Volto Santo di Lucca. Rielaborate per lo più tra XIII e XIV secolo, le leggende con le quali si giustificava il prestigio religioso municipale si coniugarono con istanze di tipo politico, come nel caso di Prato, che riuscì a legittimare il proprio desiderio di autonomia rispetto alla sua matrice diocesana, Pistoia, proprio grazie al possesso di una prestigiosa reliquia mariana, la Cintura della Vergine». In ogni caso, precisa Cardini, «la fede nelle reliquie non fa parte di alcun dogma e in caso di dubbia autenticità la Chiesa può autorizzare il mantenimento – magari provvisorio – di un culto locale per rispetto alla tradizione e alla devozione dei fedeli».

Ma qual è l’atteggiamento che i fedeli dovrebbero manifestare nei confronti delle reliquie? «I fedeli – spiega don Franco Brogi, liturgista e presidente della Commissione per il culto divino della diocesi di Fiesole – sono chiamati a coltivare con equilibrio l’omaggio che si deve a coloro che a imitazione di Cristo hanno vissuto la perfezione della carità e che, riconosciuti come tali dall’autorità ecclesiastica, godono di pubblica venerazione. Dunque toccare una reliquia, pregare di fronte ad essa significa riaffermare la fede nella comunione dei santi in Cristo ed impegna alla imitazione del Figlio di Dio, incarnato, morto e risorto, del cui volto sono immagine luminosa i Santi. È legittimo, dunque, venerare una reliquia, ma il ricorso ai santi è subordinato al ricorso al Cristo, unico Salvatore degli uomini. L’omaggio più autentico che il popolo di Dio può tributare a un santo – conclude don Brogi – è di festeggiare il suo anniversario attraverso la celebrazione della Messa: da ciò consegue la grazia e il desiderio di trasformare la propria vita, come ha fatto il Santo che onoriamo, a immagine del Corpo e del Sangue di Cristo offerti sull’altare».

Fra le più note

Ci sono i corpi dei Santi custoditi nelle chiese Toscane, moltissime reliquie, spesso solo frammenti, sono sparse nelle sacrestie, ci sono poi le tavole miracolose e via dicendo.
Difficile, per non dire impossibile, fare un elenco completo di tutte le reliquie presenti nella nostra regione. Di seguito ne elenchiamo alcune, sicuramente fra le più conosciute:

  • Cintura della Vergine (Prato)
  • Braccio di san Filippo (Firenze),
  • Dito di San Giovanni (Firenze)
  • Santo Sangue (Luni/Sarzana)
  • Santo Volto (Lucca)
  • Santa Spina (Pisa)
  • San Nicodemo (Pisa)
  • Santo Chiodo (Colle)
  • Santo anello della vergine (Chiusi anticamente, poi Perugia)
  • Santo Latte di Montevarchi
  • San Jacopo a Pistoia

Dalla Cintola della Vergine l’identità dei Pratesi

Nella composita leggenda elaborata per giustificare l’autenticità della Cintola, conservata nel Duomo di Prato, il protagonista della santa acquisizione, Michele, è rappresentato come un artigiano condotto in Levante dai suoi affari nell’epoca in cui più intensi si facevano i rapporti commerciali delle città italiane con l’Oriente «crociato». Egli avrebbe in quelle terre lontane conosciuto e sposato la figlia di un sacerdote gerosolimitano cui era stata affidata la custodia della cintola che Maria, in segno di predilezione, aveva lasciato all’apostolo Tommaso al momento dell’Assunzione. Mimetizzata tra gli oggetti che componevano la dote della giovane sposa, una volta giunta a Prato la reliquia era stata riposta da Michele, ignaro della natura sacra dell’oggetto, in un cassone. Per quanto a più riprese insospettito da eventi straordinari verificatisi intorno a quell’improprio reliquiario, egli avrebbe mantenuto il segreto sulla cintola portata da Gerusalemme fino alla vigilia della morte, quando ne rivelava l’esistenza ad Uberto, preposto di Santo Stefano, stabilendo di affidarne la custodia al clero della pieve. Qua una serie di manifestazioni e miracoli taumaturgici attestavano pubblicamente l’autenticità della reliquia che iniziava ad agire quale presidio apotropaico contro i nemici della città, a cominciare dai pistoiesi, di cui contribuiva a respingere un attacco nel 1189.

A più riprese impiegata per allontanare occasionali pericoli, la reliquia avrebbe manifestato la sua volontà di restare in terra di Prato impedendo la riuscita di un furto orchestrato da un canonico della pieve stessa, Giovanni di ser Landetto detto Musciattino, il quale pagò coi supplizi più infamanti e infine con la vita il proditorio attentato al principale tesoro sacro della città. Numerose erano state, nell’Occidente medievale, le chiese che avevano rivendicato il possesso di cinture lasciate da Maria tra gli abiti vuoti dopo l’assunzione del suo corpo al cielo, ed uno di questi santi cingoli a suo tempo aveva costituito uno dei più venerati tesori della collezione imperiale bizantina. Il sacco di Costantinopoli nel quale si risolse la spedizione crociata del 1204 avrebbe riempito di reliquie le stive delle navi degli spregiudicati imprenditori delle repubbliche marinare italiane, contribuendo alla proliferazione di santi oggetti dalle origini più o meno incerte attorno ai quali andò addensandosi la «nostalgia» di Gerusalemme di un’Europa sempre più incapace del recupero militare del Santo Sepolcro e dei luoghi santi d’Oltremare. Spesso l’arrivo per vie oscure di una reliquia, al di là del problema culturalmente relativo della sua autenticità, attivò attorno a quell’oggetto carico di suggestioni e di evocazioni evangeliche l’orgoglio municipale e le sue forme di ostentazione, a cominciare della redazione di scritture celebrative capaci di esaltare il prestigio cittadino. A Prato questo compito memoriale fu assolto attraverso una prima redazione della leggenda di Michele ed infine dalla composizione, commissionata dalla pubblica autorità, di una vera e propria «laus civitatis», il Cincturale, col quale la storia della reliquia si fuse con le vicende politiche e culturali della città, giustificandone la natura di vero e proprio palladio municipale, simbolo internazionale della sua immagine assieme alle sue lane da esportazione ed alle lettere di credito inventate dai suoi banchieri. Grazie alla Cintola Prato poteva autorappresentarsi come «nova Jerusalem», esaltando, anche in assenza di riconoscimenti formali, la propria dignità sia nei confronti di Pistoia, sua matrice ecclesiastica, sia di Firenze, sua dominante politica.

Anna Benvenuti

Prato, la lipsanoteca del commendator Santini
Il nome è lipsanoteca (deriva dal greco e significa, alla lettera, «custodia di avanzi»). Luciano Santini (nella foto a destra) ama definirla così. In effetti parlare di «collezione» di reliquie sa di profano. Qui, invece, il sentimento è tutto sacro e sincero. Il «commendatore», come a Prato è conosciuto, è uno dei personaggi più caratteristici della città. Per anni consigliere comunale, a lungo governatore della Misericordia, è stato lui a ideare il ripristino, quarant’anni fa, del Corteggio storico, la manifestazione che, nella festa dell’8 settembre, precede l’Ostensione del Sacro Cingolo della Madonna. Chi vuol conoscere le antiche tradizioni pratesi, soprattutto quelle religiose, non ha che da chiedere al Santini. «Per i Santi – ci racconta – ho avuto fin da ragazzo una grande devozione. Li ho sempre visti come modelli di vita e come intercessori. Ora che sono anziano li sento ancora più vicini». Nello studio di casa, il «commendatore» ci mostra l’armadio che raccoglie più di duecento – «ma il conto non lo ho tenuto» – reliquie di santi. Ci sono oggetti di grande significato riguardanti le grandi figure legate a Prato – come una lettera di S. Caterina De’ Ricci o un fazzoletto del grande predicatore S. Leonardo da Porto Maurizio – o, per esempio, reliquie di grandi santi, a cominciare da San Francesco e Santa Chiara d’Assisi. C’è un pezzo della Cappa magna, cioè dello strascico, di San Carlo Borromeo, e uno della corda del saio di San Giuseppe da Copertino. Accanto a questi, decine e decine di piccole reliquie. «Le ho raccolte fin da giovane – ci spiega Santini – spesso recuperando reliquie e reliquiari dai mercatini dove erano finite dopo la grande “smobilitazione” nata da una malintesa interpretazione della riforma liturgica. Poi altre le ho ricevute in dono; molte, invece, le chiedo alle postulazioni delle cause di beatificazione e di canonizzazione». Non sempre rispondono, ma in molti casi il commendatore si vede recapitare a casa una reliquia. Davanti all’armadio di legno, sta fissa una poltrona. Accanto il breviario e libri spirituali. «Mi piace mettermi a pregare davanti ai miei santi», ci confessa.

Fonte - TOSCANA OGGI

martedì 8 gennaio 2008

The Encyclopedia of Religious Phenomena


The Encyclopedia of Religious Phenomena

by J. Gordon Melton

"J. Gordon Melton is a renowned authority on what academics call "New Religious Movements." His expertise with the arcane shines from the pages. . . . [T]his is an entertaining and fascinating look at an astonishing variety of ways that people experience belief."

The Dallas Morning News

"[Melton] gives readers interesting religious expressions and phenomena from Buddhism, Baha'I, Islam, indigenous faiths and Christianity. The result cannot help but be inspiring or alarming, depending on your understanding of true faith."

Reference & Research Book News

"Melton, a renowned authority on "New Religious Movements," takes on a broad range of topics: ectoplasm, the tomb of Christ, the Touro Synagogue in Rhode Island, Ouija boards and the Kumbh Mela festival in India. If you can't learn an interesting bunch of facts from this book, you must already have a doctorate on the topic."

The Modesto Bee

Visions of Mary and glimpses of GOD. Hundreds of people gather at a freeway underpass in Chicago to gaze at what mystified state police reported to be a salt stain but which the faithful said was an image of the Virgin Mary. People assemble in a parking lot in Milton, Massachusetts, and see an image of the Virgin Mary. Apparitions of Mary have been claimed in dozens, if not hundreds, of different locations and are part of a sharp increase in religious phenomena worldwide.

Based on more than 250 occurrences and extraordinary experiences that have served to lift believers out of the mundane world and place them in contact with a transcendental reality, The Encyclopedia of Religious Phenomena explores unusual and unexplained physical events, apparitions, and other phenomena rooted in religious beliefs. Alphabetically arranged, Religious Phenomena includes more than 100 illustrations.

Well-known religion expert, J. Gordon Melton takes readers on a tour that includes visits with angels, Marian apparitions (including Guadeloupe, 1531; Lourdes, 1858; and Fatima, 1917), and religious figures such as Jesus, the Buddha, Mohammad, and Tao Tzu. Melton reports on dreams and near-death experiences; feng shui and labyrinths; statues that bleed, drink milk, weep, and move; snake handling, speaking in tongues, and stigmata; relics, including the spear of Longinus and the Shroud of Turin; and sacred locales such as Easter Island, the Glastonbury Tor, the Great Pyramid, Mecca, and Sedona.

From sacred mountains, shrines and places of pilgrimage to visions, out-of-body travel, and holy laughter, The Encyclopedia of Religious Phenomena offers a balanced presentation of otherworldly phenomena: each entry includes a description of the particular phenomenon and the religious claims being made for it as well as a discussion of what a scientist might have to say about it. Transcending the mundane, the entries take no sides and make no arguments: the journey is the experience and the experience is the journey.

About J. Gordon Melton

Author J. Gordon Melton is a nationally known author, lecturer and scholar, best known for his work on religious cults. He is considered Americas senior scholar in the field of new and unconventional religions, having studied them for more than 25 years. He is a director of the Institute for the Study of American Religions and a research specialist with the Department of Religious Studies at University College, Santa Barbara. He has written a number of books on new and unconventional religions and maintains a foot firmly planted in the paranormal.

La Confraternita del Sacro Latte





Museo della Collegiata di S. Lorenzo a Montevarchi



di Rossella Tarchi

Già nel 1951 Ugo Procacci, allora Soprintendente alle Gallerie di Firenze, Arezzo e Pistoia, aveva proposto di creare a Montevarchi un Museo che accogliesse il cospicuo corredo liturgico della Collegiata di S. Lorenzo: il progetto nasceva anche dall’esigenza di ricostruire il tempietto robbiano, smantellato e parzialmente manomesso nel XVII secolo. Ma solo nel 1973 vennero inaugurate le due sale che compongono tutt’oggi il Museo.

La preziosa raccolta di opere e di oggetti d’arte esposti nel Museo di Montevarchi appartiene - in particolare - ad una istituzione legata alla Collegiata di S. Lorenzo: la Fraternita del Sacro Latte, una congregazione laica di uomini e donne che aveva il compito di custodire la reliquia del Sacro Latte: una goccia di latte cristallizzata che si credeva caduta dalle labbra di Gesù Bambino durante la fuga in Egitto. La reliquia era stata donata alla chiesa di S. Lorenzo dal conte Guido Guerra dei conti Guidi, come compenso dell’aiuto dato a Carlo d’Angiò nella battaglia di Benevento (1266) contro il re svevo Manfredi. Oltre a custodire la reliquia, la Fraternita aveva anche il compito di promuoverne il culto e di organizzare la festa annuale in onore della Madonna (8 settembre) che durava tre giorni e durante la quale si svolgevano solenni funzioni liturgiche e manifestazioni di tipo popolare, come la rappresentazione delle Corporazioni delle Arti, che, nella piazza antistante la chiesa, mettevano in scena il proprio mestiere. Ancora oggi, nonostante la scomparsa della congregazione, la festa della Madonna, detta “del Perdono”, vede la grande partecipazione del popolo alla processione della reliquia del Sacro Latte.

L’accesso al Museo avviene dalla chiesa, alla destra della cappella maggiore. Nella prima sala a destra, una vetrina espone tre codici miniati (primi del XIV sec.) opere del Maestro Daddesco (codice C e B) e del Maestro del Laudario (codice A e B). Sopra serie di tre cartaglorie (seconda metà del XVII sec.) commissionate dalla Fraternita del Latte, con cornice in lamina d’argento decorata da palmette e foglie d’acanto; in quella centrale la cornice è arricchita da un medaglione sbalzato e cesellato con l’immagine della Madonna col Bambino. Sulla parete, in alto, affresco staccato con sinopia, dal chiostro della chiesa di S. Andrea a Cennato, raffiguranti la Madonna col Bambino e santi (scuola toscana, XIV sec.).

Al centro della sala è collocata una portantina di legno scolpito e dorato, datata 1731, riccamente decorata con teste di cherubini, stemmi e cartigli, che serviva per portare in processione le reliquie di San Cesareo martire, del quale è rappresentato, nel dipinto sopra la porta d’ingresso al Museo, Il martirio del Santo che protegge Montevarchi dalla grandine (1666). Accanto, il reliquiario che conteneva la reliquia del Sacro Latte, di legno dorato a forma di tempietto esagonale con sportellini dipinti, opera del pittore fiorentino Giovanni del Brina (1567), collaboratore del Vasari. Sui sei sportellini, divisi da colonnine scanalate, sono raffigurati la Madonna col Bambino, San Lorenzo, Sant’Andrea apostolo, San Michele arcangelo, San Macario (patrono di Montevarchi), con tonaca da abate e nella mano sinistra un teschio, simbolo della meditazione e dell’eremitaggio, e San Luigi IX, con abito regale, corona sulla testa e scettro con giglio, simbolo della casa di Francia.

Segue un’altra portantina che serviva al trasporto del Reliquiario del Sacro Latte, realizzata da abili intagliatori e riccamente decorata con quattro putti a tutto tondo e motivi vegetali. Sopra è collocato il reliquiario realizzato nel 1630 dall’orafo fiorentino Michele Genovini e che venne a sostituire quello cinquecentesco del Brina. Il manufatto fu commissionato dal duca Jacopo Salviati e da sua moglie Veronica Cybo, e fu rimaneggiato nel 1709, ad opera di Massimiliano Soldani Benzi. Il reliquiario è a forma di tempietto in legno d’ebano intagliato e decorazioni in argento: sul lato anteriore è raffigurato lo stemma Salviati e la Madonna col Bambino, sul retro San Lorenzo.

Sulla parete destra della porta d’ingresso grande affresco staccato proveniente dalla chiesa di Cennano, con la Madonna in trono e i santi Lucia, Andrea, Giovanni apostolo (quasi del tutto illeggibile) e un Santo cavaliere; negli sguanci San Francesco d’Assisi e una Santa martire, nella lunetta l’Adorazione dei pastori. L’opera è attribuita a Luberto da Montevarchi detto il Montevarchi, artista attivo agli inizi del XVI secolo. Sotto è collocato un paliotto in scagliola colorata (manifattura toscana, XVII sec.) con decori vegetali e cornice di fiori e foglie.

Sulla stessa parete troviamo un altro affresco raffigurante la Madonna con due angeli di scuola fiorentina della fine del XIV secolo, staccato da una cappellina situata nel borgo detto “del Lavacchio”. Sotto bella acquasantiera di marmo con vasca decorata a motivi vegetali (manifattura toscana, XV-XVI sec.) e volto della Sindone in bronzo di Ernesto Galeffi (1984).

Un’intera parete, quella di fondo, è dedicata all’esposizione delle pianete: troviamo esemplari di varie epoche e manifatture, fra le quali spicca una pianeta appartenuta alla Fraternita, di velluto rosso controtagliato con tipico disegno a tralcio con fiore di cardo (o melagrana) racchiuso in un ovale (manifattura fiorentina, XVI sec.). Sopra la vetrina, dipinto a olio su tela di scuola fiorentina del XVII secolo, raffigurante la Trinità e i santi Domenico e Francesco. Sulle due porte di accesso al corridoio troviamo altre due tele, ambedue provenienti dalla chiesa di Cennano, di ignoto pittore settecentesco, raffiguranti un Santo monaco e Dio Padre e la colomba dello Spirito Santo.

La grande vetrina che separa la prima sala dal corridoio che immette nella seconda, espone le suppellettili più preziose, alcune delle quali veri e propri capolavori dell’oreficeria fiorentina del XVI e XVII secolo. Nella vetrina di destra troviamo alcuni reliquiari, fra i quali uno a tempietto in argento con parti dorate, nodo piriforme e coppa decorata da baccellature sbalzate e cesellate di manifattura toscana della prima metà del XVII secolo. Al centro il Busto-reliquiario di una vergine, commissionato dalla Fraternita, opera pregevole dell’orafo fiorentino Simone Pignoni (1593), dove la giovinetta è raffigurata con veste e mantello fermato sul davanti da un ovale con il monogramma bernardiniano. Sono inoltre esposti due turiboli, una navicella, un secchiello per l’acqua benedetta, tutti del XVIII secolo, due piattini in ottone, un ostensorio degli inizi del XIX secolo e due recipienti che servivano ai membri della Fraternita per le votazioni segrete.

Nella vetrina centrale campeggia la bellissima e preziosa croce processionale (1551-1552), in argento sbalzato e cesellato, di Pietro di Martino Spigliati. Commissionata dalla Fraternita del Latte, come attestato dall’iscrizione sul recto della formella ai piedi del Cristo, alla quale corrisponde sul verso lo stemma di Montevarchi, la croce è un autentico capolavoro dell’arte orafa del XVI secolo per l’eccezionale qualità artistica e tecnica. Lo Spigliati era stato aiuto di Benvenuto Cellini dal quale aveva appreso la tecnica della cesellatura in oro ed in argento, che il grande orafo fiorentino riteneva la tecnica dell’oreficeria più degna di essere accostata a pittura, scultura e architettura. La croce presenta caratteri iconografici singolari: nelle dodici formelle quadrilobate, con terminali a forma di infiorescenza, sono raffigurate scene del Nuovo e dell’Antico Testamento, anziché le più consuete figure degli Evangelisti e dei simboli eucaristici. Del Nuovo Testamento vi sono (sul recto), in alto, La Resurrezione, a sinistra L’Ultima Cena, a destra L’orazione nell’orto, in basso La Natività, nella formella centrale dietro il Cristo, dall’Antico Testamento, Dio Padre che separa la luce dalle tenebre. Sul verso troviamo, in alto, la Creazione di Adamo ed Eva, a sinistra la Tentazione e il Peccato originale, a destra Caino uccide Abele, al centro il Lavoro umano e La stirpe di Adamo ed Eva, in basso il Sacrificio di Isacco, tutti episodi tratti dall’Antico Testamento.

Il complesso apparato iconografico ripercorre il percorso dell’umanità verso la Salvezza: dal peccato originale alla venuta salvifica di Cristo nella storia. Le singole scene sono rappresentate magistralmente, con evidenti richiami alla scultura e alla pittura dei grandi artisti del Cinquecento da Michelangelo (in particolare nella formella con Dio Padre che separa la luce dalle tenebre) a Raffaello.

Ai lati della splendida croce dello Spigliati vi sono due croci astili, ambedue di scuola toscana del XIV secolo, in rame dorato e Cristo a fusione. In particolare quella di sinistra presenta al centro quattro piccole sfere di cristallo e terminali quadrilobati con incise le figure di Maria Vergine, San Giovanni evangelista, il pellicano che nutre i suoi piccoli (in alto) simbolo del sacrificio di Cristo e il teschio di Adamo (in basso), allusione alla Crocifissione. E, ancora, un calice in argento dalla barocca decorazione a foglie d’acanto e teste di cherubino (manifattura fiorentina, XVII sec.), un altro calice in argento dorato, con parti a fusione, piede e nodo decorati a testine di cherubini e coppa con i Simboli della Passione.

Nella vetrina di sinistra sono esposti alcuni calici del XVII-XVIII secolo fra i quali un calice (XVIII sec.) commissionato dal canonico Giovanni Battista Pasquali; uno in argento sbalzato, cesellato e inciso (XVII sec.) e uno, datato 1755, con nodo a sezione triangolare, ambedue con sottocoppa decorata dai Simboli della Passione. Troviamo poi una pisside della fine del XVIII secolo, un ostensorio (XVIII sec.) con raggiera e teste di cherubini, una brocca in argento (XIX sec.) una navicella commissionata dalla Fraternita del Latte (XVIII sec.). Al centro della vetrina, libro liturgico con legatura di velluto rosso e applicazioni in argento, nella placchetta centrale è raffigurata la Madonna col Bambino (XVIII sec.). E, ancora, una palmatoria (XIX sec.), una coppia di ampolle in vetro soffiato e lamina d’argento e un secchiello (XIX sec.).

Nel piccolo corridoio che dà accesso alla seconda sala troviamo una grande vetrina dove sono raccolti numerosi reliquiari lignei in gran parte del XVIII secolo, di tipologie molto diffuse in Toscana in questo periodo (a urna e a ostensorio) e due paliotti uno in velluto rosso con disegno a maglie ogivali e due tipi di fiori di cardo (XVI sec.) e uno in teletta d’oro e velluto controtagliato (inizi XVII sec.) con motivo a ogive con infiorescenze. Sulla parete di fondo del corridoio, Crocifisso ligneo del XVIII secolo.

Si accede quindi alla seconda sala che conserva il bellissimo tempietto della fine del XV secolo, decorato con terracotte invetriate da Andrea Della Robbia. Questo autentico gioiello dell’architettura rinascimentale fu costruito su commissione della Fraternita del Sacro Latte, per conservare la reliquia del Latte della Beata Maria Vergine. L’edicola fu collocata nella navata destra della prioria di S. Lorenzo (divenne collegiata solo nel 1561 con bolla di Pio IV), ma nel 1706, alla ripresa dei lavori di ristrutturazione della chiesa, interrotti nel 1648, fu decretata la demolizione del tempietto perché in contrasto con il nuovo stile settecentesco della chiesa.

Il tabernacolo di legno con il bassorilievo raffigurante la Madonna del Latte (XV sec., tutt’oggi visibile) fu trasferito sopra l’altare maggiore e le robbiane murate sulle pareti della nuova sagrestia. I rilievi furono rimontati su una struttura architettonica che riproduce fedelmente l’originale demolito nel Settecento e questo grazie al ritrovamento, nell’archivio parrocchiale, di alcuni disegni acquerellati con il prospetto del tempietto prima delle ristrutturazioni del 1706, ed ora esposti in questa stessa sala (parete destra). Il tempietto presenta una decorazione in terracotta nella quale prevalgono il bianco e l’azzurro: ha soffitto a cassettoni con rosoni e il fregio delle architravi propone una teoria di trentaquattro cherubini. Le colonne sulle quali sono poggiate la trabeazione e la cornice superiore presentano capitelli corinzi. La pala d’altare è spartita in diverse parti: al centro la copia della Madonna del Latte, a sinistra San Giovanni Battista, a destra San Sebastiano. I due santi sono inseriti in delle nicchie con lesene decorate a candelabre (vasi ansati da cui partono mazzi di fiori e frutta) che conferiscono, attraverso l’uso del verde e del giallo, una nota di colore alla spiccata bicromia dell’edicola. Sotto questo gruppo Predella con grata e angeli oranti in volo (attraverso questa grata si poteva intravedere la reliquia del Sacro Latte) e il bellissimo paliotto raffigurante la Pietà.

In questa stessa sala si possono ammirare altre terracotte. Sulla parete destra sono murati alcuni frammenti di un paliotto (bottega dei Della Robbia), con decori fitomorfi bianchi e blu, che imitano un drappeggio; a fianco, proveniente dalla facciata della primitiva chiesa di S. Lorenzo, un bassorilievo di pietra con il Martirio di San Lorenzo (datato 1283). Sulla parete opposta è collocato il grande fregio con la consegna della Reliquia del Sacro Latte da parte di Guido Guerra alla comunità di Montevarchi (fine XV-inizi XVI sec.). La raffigurazione è assai complessa ed affollata: partendo da sinistra sono rappresentati dei cavalieri al seguito del conte, il quale è inginocchiato al centro, sotto il baldacchino, e porge al priore di S. Lorenzo la reliquia della Madonna. Intorno folla di sacerdoti, nobili, dame, dignitari, dalle fisionomie fortemente caratterizzate, e, infine, sulla destra la processione con il clero mentre sta per varcare le mura della città. Ai lati del fregio stemmi di Montevarchi (inizi XVI sec.): sei monti verdi in campo rosso sormontati da un rastrello con tre gigli dorati detto “capo d’Angiò”, simbolo questo concesso solo a quelle famiglie o a quelle comunità che dimostravano fedeltà alla casa d’Angiò e alla Parte Guelfa.

Completano la sala due dipinti su tela del XVII secolo. Il primo raffigurante un ritratto di guerriero, con corazza e nella mano sinistra uno scettro; l’altro riproduce l’albero genealogico dei conti Guidi, sulla base di quello realizzato da Scipione Ammirato nella sua Storia dei Conti Guidi.



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Il reliquiario del Sacro Latte

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LA CONSEGNA DELLA RELIQUIA DEL SACRO LATTE


LA CONSEGNA DELLA RELIQUIA DEL SACRO LATTE
Domenica 6 gennaio una bella iniziativa a Montevarchi in piazza Varchi e nell'Insigne Collegiata di San Lorenzo
[04/01/2008]

Per il 6 gennaio 2008 è in programma a Montevarchi un'affascinante festa dell'Epifania, che vedrà protagonista la storia la musica e i giochi. Piazza Varchi sarà teatro della Grande Tombola cittadina organizzata dall'Associazione Centro Rievocazione Storica, che dal 1984 si prodiga in queste attività, raccogliendo favori per ogni sua iniziativa.

Ecco il dettaglio della giornata.

Alle ore 15.30 l'Araldo, scortato da armati e musici, darà il via all'estrazione dei numeri: in premio, ai vincitori, 200 € per la quintina e 500 € per la Tombola; le cartelle sono in vendita, al prezzo di 1 € cadauna, presso i negozi Dolcezze Savini, in via Roma 65, presso l'Oreficieria Segoni, in via Roma 90, alla Cartoleria Verniani, in via Roma 105, nella Boutique del fiore, in piazza V. Veneto 25, oppure da Fatai Riparazioni Radio e TV, in via Fonte Moschetta al numero 46.

Alle 17 avrà inizio il grande corteggio storico che muoverà da piazza Garibaldi; il Conte Guido Guerra, e il suo seguito, procederanno verso l'Insigne Collegiata per consegnare -sul sagrato della chiesa- la Reliquia della Grotta del Latte di Betlemme al Priore, ai notabili e ai popolani che si uniscono al corteggio.

Per le ore 18 è prevista la Santa Messa con l'offerta della Reliquia a S. E. Mons. Luciano Giovannetti, Vescovo di Fiesole, da parte del Sindaco Giorgio Valentini.

La giornata si concluderà alle 19.15 con lo spettacolo della cascata luminosa dal campanile della Collegiata, che chiuderà in bellezza le festività natalizie.

Ufficio Stampa